Il Friulano è un vino fine, delicato, elegante, ricco di struttura ed equilibrato, ottenuto da uve prodotte in quantità da viti nodose e contorte.
Il colore è giallo paglierino o dorato chiaro, luminoso.
E' un vino dall'ampio bouquet in cui si percepisce la prevalenza dell'armonia delle note vegetali del fieno, dei fiori di campo, del timo, della camomilla fusi a rimandi vinosi e minerali di esemplare pulizia.
Quanto promette al naso, il Friulano lo conferma al gusto che individua la sua caratteristica principale nel sentore di mandorla gentile che lascia nel finale in bocca.
Lo si sorseggia per il piacere di scoprire ogni volta una nota diversa.
E' un vino che nelle versioni passate in legno dimostra un'insospettabile capacità d'invecchiamento, con vini ancora ottimi a cinque, sei anni dalla vendemmia. Le versioni fresche invece sono fruibili già nell'anno successivo a quello di vendemmia, grazie alla capacità di mantenere integre le sensazioni dell'uva pienamente matura.
Il Friulano è da sempre il vino dei friulani e del Friuli Venezia Giulia: chiedete un tajut e vi verrà offerto un bicchiere di Friulano.
Si tratta di un vino che si identifica marcatamente con il territorio d'origine e che si presenta cangiante a seconda che nasca dai terreni sabbiosi della pianura, da quelli ricchi di marne ed arenarie della collina, oppure da quelli caldi, a matrice ghiaiosa, dell'Isonzo. Un vitigno e un vino che traducono bene le differenze climatiche e geologiche alle quali sono associati e che si abbina meravigliosamente bene a tanti piatti e prodotti gastronomici diversi, un asso da giocare sul quale non tutti i vitigni d'Italia e del mondo possono giocare con altrettanta sicurezza.
E' perfetto per un aperitivo. E' ideale accostato al prosciutto di San Daniele. E' splendida la sua vocazione sui crostacei. E' un asso sul quale non tutti i vitigni d'Italia e del mondo possono giocare con altrettanta sicurezza.
In un panorama gastronomico ampio come quello offerto dal friuli venezia Giulia, non mancano le occasioni in cui il Friulano si comporta come un bianco importante e complesso, soprattutto quando viene abbinato a piatti vegetali elaborati, stratificati, come anche a primi piatti cotti al forno nei quali si impiegano funghi e carne, o guarnizioni all tartufo.
La nota vegetale del Friulano della vendemmia più recente suggerisce l’accompagnamento alle frittate e alle minestre realizzate con le erbe primaverili raccolte nei prati.
Originale è l’abbinamento con il frico in versione croccante e con i cialsons della Carnia, oppure, scendendo verso il mare, con i molluschi della laguna, la zuppa di pesce alla gradese e il pesce azzurro, fritto o in graticola, magari da assaggiare appena pescato nella laguna di Marano e di Grado.
Quando si oltrepassano i confini, il Friulano, quello giovane, esprime quell’acidità perfetta per accompagnare piatti come il sushi e la tempura.
“Che cos’è un nome?
Quella che chiamiamo rosa,
con qualsiasi altro nome avrebbe lo stesso profumo”.
(W. Shakespeare, Romeo e Giulietta)
La storia del Tocai friulano è piuttosto complessa e in molti punti si intreccia con quella del Tokaji ungherese, contribuendo a creare una certa confusione riguardo al vitigno dal quale si ottengono i due vini.
Diverse sono le interpretazioni storiche più o meno chiacchierate, tuttavia studi recenti, avviati a Conegliano intorno agli anni ’70, hanno posto in evidenza diverse somiglianze con il vitigno Sauvignon. Le analisi del DNA effettuate in seguito hanno rivelato che il vitigno Tocai friulano altro non era che il Sauvignonasse, vitigno presente nei vigneti del Bordolese e oggi quasi scomparso, che arrivò in Friuli, probabilmente assieme al Sauvignon, nel periodo in cui, a metà dell’Ottocento, si iniziarono a coltivare i vitigni francesi nei vigneti friulani.
Sembra verosimile far risalire al matrimonio tra il Conte de La Tour e la nobildonna friulana Ervina Ritter la prima, vera importazione in regione di vitigni francesi.
Quest’ultima ipotesi confermerebbe la completa autonomia dei due vitigni indagati, ovvero l’origine francese del Tocai friulano e la derivazione della denominazione di quello ungherese dalla regione in cui da sempre è stato coltivato. Tale affermazione troverebbe inoltre il suo fondamento nella diversità che caratterizza i due Tocai, sia per vitigno che per vino. Basti solo ricordare che il Tocai friulano è un vino secco, fruttato, con uno spiccato sapore di mandorla; quello ungherese, benché possa esistere anche in versione secca (szàraz) o abboccata (édes), è famoso per la sua versione dolce, anzi dolcissima, di colore ambrato, con circa 15 gradi di alcol ed una altissima concentrazione di zuccheri residui.
Italiano o ungherese? O meglio: friulano o ungherese? Molto si è detto e ancor di più si è scritto sull’origine di questo vitigno.
A fare luce sulla questione che nel passato ha coinvolto conti, frati e cavalieri di Francia, Italia e Ungheria è intervenuta, nel 1993, la Comunità Europea, che dopo aver mediato un accordo tra Italia e Ungheria, ha vietato l'utilizzo della dicitura “Tocai” per il vino friulano a partire dal marzo del 2007, in quanto giudicato troppo simile all’omologo DOC ungherese “Tokaji”.
Nel gennaio 2008 la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia ha intentato l’ultimo ricorso per annullare la sentenza, ma il 15 novembre dello stesso anno la Corte Costituzionale ha stabilito il divieto di utilizzare il nome Tocai per la vendita sul territorio italiano.
L’ultima vendemmia di Tocai in Friuli è stata quella del 2008: da allora il vino ottenuto da uve di Tocai friulano si chiama “Friulano”, a sottolinearne il forte legame con il territorio.
Il vecchio Tocai non è scomparso, ha solamente cambiato nome. Il suo gusto, la qualità e la relazione con il territorio rimangono eccellenti come sempre, custoditi sotto la nuova denominazione di Friulano.
Noto storicamente come Tocai o Tocai friulano (oggi anche solo Friulano), si tratta del vitigno che forse più di ogni altro identifica la propria regione, il Friuli Venezia Giulia.
Non a caso è famoso il detto locale "cul Tocai a sparissin duc'i mai" e cioè che con il Tocai spariscono tutti i mali.
Nella nostra nazione, il friulano costituisce una parte importante delle varietà permesse all'interno delle disciplinari di sette zone DOC del Friuli Venezia Giulia (Colli Orientali del Friuli, Collio, Friuli Annia, Friuli Aquilea, Friuli Isonzo, Friuli Latisana e Friuli Grave) ma anche in numerose DOC fuori regione, come ad esempio quelle venete di Bagnoli di Sopra, Breganze, Colli Berici, Colli Euganei, Corti Benedettine del Padovano, Garda, Lison-Pramaggiore, Merlara, Riviera del Brenta, San Martino della Battaglia e Piave.
Il Friulano è caratterizzato da sempre da una buona variabiltà intravarietale; predilige terreni di media fertilità, calcarei e non troppo siccitosi. E' di vigore medio-elevato, si adatta bene a forme di allevamento espanse e a potature medio-lunghe per via di una fertilità delle gemme basali che non è buona (mentre la fertilità generale lo è).
La foglia in genere è medio-grande, trilobata, con seno peziolare aperto a lira chiusa e lobi leggermente sovrapposti, pagina inferiore glabra.
Il grappolo è più spesso, di taglia media, di forma cilindrica o tronco-piramidale, piuttosto compatto e con in genere due ali in bella evidenza.
L'acino, di media grandezza e tondo, ha una buccia non particolarmente spessa e questo, insieme alla compattezza del grappolo, rende questa varietà molto sensibile alle piogge all'epoca di maturazione, che avviene normalmente nei primi venti giorni di settembre. Germoglia invece tardi, il che lo rende resistente ad eventuali gelate primaverili.
E' soprattutto sensibile al disseccamento del rachide, al marciume del grappolo, a botrite e mal dell'esca, mentre lo è meno alla peronospora, all'oidio, agli acari e alle tignole.
di Ian D'Agata, responsabile per l'Italia e Bordeaux dell'International Wine Cellar di Stephen Tanzer, una delle più importanti pubblicazioni in materia di vino al mondo, Regional Co-chair di Decanter World Wine Awards nonché autore della guida Vin D'Agata & Comparini all'eccellenza dei Vini d'Italia.
L'ampelologia, la scienza che studia i caratteri dei vitigni, ci permette oggi, grazie non solo alla ampelografia (il ramo che si occupa dello studio dei caratteri tramite riproduzione grafica), ma anche allo studio dei profili isoenzimatici, del DNA e molto altro ancora, di identificare con sempre maggiore precisione la "personalità" di una data varietà d'uva e il vino che ne consegue.
Attraverso i secoli, una varietà di vite si adatta al proprio terroir, modificando nell'arco di pochi cicli riproduttivi una parte, via via sempre maggiore, del suo patrimonio genetico. Nascono così viti dall'aspetto diverso a seconda di dove esse vengono a trovarsi o vengono messe a dimora.
Il contenuto genetico delle popolazioni varietali è reso quindi molto variabile grazie all'influenza di fattori esogeni, che determinano la presenza di cloni e biotipi diversi, dove per clone si intende la moltiplicazione agamica di una entità vegetale, termine derivante dal greco "klon" (spezzare).
Nasce così la selezione clonale, una esigenza più che una tecnica, in quanto risponde alle necessità della viticoltura e dell'enologia di qualità di offrire una gamma di individui di una data varietà, ognuna con le proprie specifiche caratteristiche, ognuna capace di apportare un suo contributo all'assemblaggio finale del vino prodotto e da mandare in commercio. Popolazioni di viti diverse, che rispondano alla domanda produttiva di uve dai polifenoli qualitativi e quantitativi diversi, sono così atte a soddisfare le necessità di una enologia moderna. La selezione clonale possiede un indubbio vantaggio sulla selezione massale (o di campo, che pure ha altri vantaggi particolari), che si può leggere come una maggiore attenzione allo stato sanitario delle varietà, soprattutto in merito alle malattie virali, e una più precisa e codificata valutazione delle attitudini agronomiche e enologiche di quella data varietà di uva.
Nella valutazione delle attitudini agronomiche e enologiche di un clone, si andranno a verificare non solo la vigoria e la resistenza di una pianta, il peso medio dell'acino o del grappolo, ma anche altri parametri di discreta importanza per l'ottenimento di un risultato finale apprezzabile. Tutti i parametri possono essere suddivisi in due categorie, quella del potenziale produttivo e quella del potenziale tecnologico.
Il potenziale produttivo di una data specie include parametri quali la fertilità, il peso del grappolo e anche il gruppo di potenziale produttivo (che è poi il risultato della combinazione dei due parametri appena citati), diviso in A (cloni poco produttivi), B, e C (cloni ad alto potenziale produttivo, ma non per questo scadenti: anzi, nei terreni idonei danno vini di notevole interesse organolettico).
Tra i parametri inclusi nella categoria del potenziale tecnologico troviamo valori quali il contenuto zuccherino delle uve (concentrazione media del mosto del clone a maturazione ottimale), l'attitudine enologica (che riassume i risultati chimici delle analisi di laboratorio e delle analisi organolettiche di degustazione) e le miscele clonali.
Attraverso una scelta mirata di cloni dalle caratteristiche diverse e complementari, un produttore può ambire alla creazione di un vigneto policlonale dalle elevate potenzialità riguardo alla produzione di vini di sicuro interesse organolettico, di resistenza alle malattie e dal buon potenziale di vendita. In questo ambito, l'Ersa - Agenzia regionale per lo sviluppo rurale del Friuli Venezia Giulia, si è distinta negli anni contribuendo alla creazione di più cloni, fra cui anche quelli del vitigno friulano.
di Ian D'Agata, responsabile per l'Italia e Bordeaux dell'International Wine Cellar di Stephen Tanzer, una delle più importanti pubblicazioni in materia di vino al mondo, Regional Co-chair di Decanter World Wine Awards nonché autore della guida Vin D'Agata & Comparini all'eccellenza dei Vini d'Italia.
I biotipi principali di friulano sono due, il verde e il giallo, ognuno dei quali annovera cloni di particolare interesse per la viticoltura e l'enologia di qualità. La selezione clonale è stata da sempre orientata alla creazione di popolazioni con migliore fertilità delle gemme basali, migliore equilibrio vegeto-produttivo e minore resistenza alla botrite, ma anche una maggiore acidità totale delle uve.
Fedig 19 CSG: Omologato nel 1969, ha la sua zona d'origine a Carrara San Giorgio (PD)
Fertilità: media;
peso grappolo: medio/elevato;
gruppo di potenziale produttivo: B;
contenuto zuccherino delle uve: medio;
attitudine enologica: spiccata per vini dai tipici sentori varietali.
ISV-F3: Omologato nel 1990, ha la sua zona d'origine ad Azzano Decimo (PN);
fertilità media; peso grappolo: medio;
gruppo di potenziale produttivo: B;
contenuto zuccherino delle uve: superiore;
attitudine enologica: molto buona, spiccata per vini dal quadro aromatico complesso, di buona struttura e con ottime potenzialità d'invecchiamento.
R5: Omologato nel 1969, ha la sua zona d'origine ad Azzano Decimo (PN);
fertilità elevata;
peso grappolo: elevato;
gruppo di potenziale produttivo: C;
contenuto zuccherino delle uve: medio;
attitudine enologica: spiccata per vini fragranti e freschi, da bere giovani.
Ersa FVG 200: Omologato nel 2006, ha la sua zona d'origine a Casarsa della Delizia (PN);
fertilità media;
peso grappolo: basso;
gruppo di potenziale produttivo: B;
contenuto zuccherino delle uve: elevato;
attitudine enologica: spiccata per vini di buona struttura, dal potenziale di affinamento buono, con vini di buona complessità aromatica.
Ersa FVG 201: Omologato nel 2006, ha la sua zona d'origine a Casarsa della Delizia (PN);
fertilità bassa;
peso grappolo: basso;
gruppo di potenziale produttivo: A;
contenuto zuccherino delle uve: elevato;
attitudine enologica: spiccata per vini dalla buona complessità aromatica, intensi, da usare soprattutto in assemblaggi dove contribuisce i classici sentori varietali.
ISV-F6: Omologato nel 1990, ha la sua zona d'origine a Togliano di Torreano (UD);
fertilità elevata;
peso grappolo: basso;
gruppo di potenziale produttivo: B;
contenuto zuccherino delle uve: elevato;
attitudine enologica: spiccata per vini dai tipici sentori varietali.
ISV-F8: Omologato nel 1990, ha la sua zona d'origine a Lison (VE);
fertilità media;
peso grappolo: medio;
gruppo di potenziale produttivo: B;
contenuto zuccherino delle uve: elevato;
attitudine enologica: molto buona, spiccata per vini dagli intensi sentori varietali e molto intensi, adatto per gli assemblaggi.
R 5:
fertilità media;
peso grappolo: elevato;
gruppo di potenziale produttivo: A;
contenuto zuccherino delle uve: medio;
attitudine enologica: spiccata per vini fruttati, di buona struttura ma dal breve potenziale d'invecchiamento.
R 14: Omologato nel 1969, ha la sua zona d'origine ad Azzano Decimo (PN);
fertilità elevata;
peso grappolo: medio;
gruppo di potenziale produttivo: B;
contenuto zuccherino delle uve: elevato;
attitudine enologica: molto buona in genere, è un ottimo clone, dalla spiccata vocazione per vini fruttati, di buona struttura e dal potenziale d'invecchiamento dal breve a medio termine.
VCR 9: Omologato nel 1992, ha la sua zona d'origine ad Azzano Decimo (PN);
fertilità media;
peso grappolo: medio;
gruppo di potenziale produttivo: B;
contenuto zuccherino delle uve: elevato;
attitudine enologica: spiccata per vini ricchi di profumi floreali e dalla buona acidità.
VCR 100: Omologato nel 2001, ha la sua zona d'origine ad Azzano (PN);
fertilità bassa;
peso grappolo: basso;
gruppo di potenziale produttivo: A;
contenuto zuccherino delle uve: elevato;
attitudine enologica: spiccata per vini freschi e sapidi, si complementa in maniera eccellente in miscela con il clone VCR 33.
VCR 33: Anche o meglio noto come Biotipo giallo selezione Petrussi, omologato nel 2002, ha la sua zona d'origine a Manzano (UD);
ha bassa vigoria;
fertilità media;
peso grappolo: basso;
gruppo di potenziale produttivo: B;
contenuto zuccherino delle uve: elevato;
attitudine enologica: spiccata per vini importanti, di struttura e buon invecchiamento, ottimo in miscela con il clone VCR 33.