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Miele di melata di bosco del Carso

descrizione

Il miele di melata di bosco del Carso deriva dalla raccolta, effettuata dalle api, della secrezione prodotta ed escreta da afidi diversi che suggono la linfa presente nelle foglie di vegetali come tiglio (Tilia platyphyllos Scop.), sommacco o scotano (Cotinus coggygria), quercia e roverella (Quercus ilex L., Quercus petraea e Quercus pubescens Willd.) acero (Acer campestre L., Acer mospessulanum L., Acer saccharinum L.).

Dal punto di vista delle analisi biologiche e melissopalinologiche il miele di melata di bosco del Carso e’ caratterizzato da scarsa presenza di elementi fungini indicatori di melata (spore fungine soprattutto) e da una presenza pollinica con elementi comuni ad altri mieli del Carso (oltre che dal polline di Tilia platyphyllos Scop., Cotinus coggygria, Quercus pubescens, Acer campestre) troviamo presenti anche pollini di piante non nettarifere (come rhamnaceae, Trifolium repens Gr., Fraxinus, artemisia, Plantago spp, Filipendula spp, ecc.) e moraceae/urticaceae (Chamaerops, Sambucus nigra, Papaver, Rumex, Helianthemum).

forma fisica – presenta una consistenza viscosa e cristallizza in un tempo relativamente breve.

 

Caratteristiche organolettiche:

esame visivo – quando si trova allo stato liquido, il colore e’ scuro o molto scuro, da ambrato scuro fin quasi nero con riflessi verdastri; se cristallizza, presenta un color marrone scuro.

esame olfattivo – l’odore e’ di media intensità, ricorda il profumo del malto e leggermente dello zucchero caramellato.

esame gustativo – dolce nella norma, l’aroma e’ di media intensità con sentori di caramello, di frutta secca o anche di malto e lievito di birra.

 

Il miele di melata di bosco del Carso viene venduto confezionato in vasetti di vetro con tappo di latta a vite da 250 e 500 g.

categoria
PAT
territorio
Si produce nell’area del Carso triestino ed isontino.

metodo di lavorazione, conservazione e stagionatura

Le famiglie di api vengono allevate in arnie tradizionali di legno.

In vista della raccolta i melari vengono posizionati nelle arnie, dopo averli liberati da ogni traccia di altri tipi di miele.

Il periodo della raccolta inizia dopo il completo esaurimento della raccolta del miele di tiglio (fine giugno) e si protrae per tutto il mese di luglio.

Quando i favi sono stati opercolati i melari vengono prelevati dagli alveari e trasportati nel laboratorio, dove, nella sala di smielatura si procede alla disopercolatura dei favi ed alla smielatura tramite centrifugazione.

Il miele viene quindi filtrato, posto in maturatori di acciaio inox e lasciato decantare per almeno due settimane. La schiuma e le impurità che affiorano vengono eliminate. Si procede quindi al confezionamento in vasetti di vetro ed applicazione dell’etichettatura come da norma.

Tutte le operazioni vengono opportunamente trascritte su apposito registro e portate a compimento nel rispetto della normativa haccp (D.Lgs. 155/92) e delle vigenti norme igienico sanitarie previste dalle autorizzazioni concesse dalle locali autorità sanitarie. 

materiali, attrezzature usate per la preparazione e condizionamento

Arnie, melari e telaini utilizzati, sono in legno.

Attrezzature necessarie sono quelle per la disopercolatura dei favi da melario e lo smielatore centrifugo. La filtrazione si effettua con filtri in acciaio inox ed i contenitori per la decantazione (maturatori) sono in acciaio inox.

I vasetti per il confezionamento sono in vetro con tappo a vite di latta.

locali di lavorazione, conservazione e stagionatura

La sala di smielatura e’ collocata in locali attrezzati allo scopo e forniti di autorizzazioni igienico-sanitarie rilasciate dalle competenti autorità locali.

Il prodotto viene confezionato in vasetti di vetro da 250g e 500 g etichettato e conservato in appositi locali freschi ed asciutti.

prove che il prodotto esiste da almeno 25 anni

Le essenze vegetali di tiglio, sommacco, roverella e acero sono da sempre presenti sul territorio carsico dove si sviluppano spontaneamente all’interno delle zone boscate selvatiche.

Le zone boscate sono il frutto di biocenosi che hanno permesso la sopravvivenza promiscua di essenze tipicamente mediterranee e centroeuropee. A seguito dell’antropizzazione di tali zone con conseguente introduzione della pratica del disboscamento di vaste zone del territorio e la consuetudine di abbattere gli alberi per gli usi agricoli e per il pascolo degli animali da allevamento e da reddito (bovini, ovini), si e’ formata la cosiddetta landa carsica.

Ricorda il prof. Livio Poldini, ordinario di botanica all’Università di Trieste ed illustre studioso di fama internazionale, nel suo libro “La vegetazione del Carso isontino e triestino” (ed. Lint - 1989) che il Carso collinare presenta “almeno tre formazioni, fisionomicamente ben distinte che, elencate in ordine alla superficie occupata, sono: la boscaglia a roverelle; le pinete artificiali; la landa carsica s.l.

Con il primo termine intendiamo il prodotto più o meno degradato dell’antica foresta ad opera dell’economia pastorale dei passati secoli. Gli spazi aperti all’uomo sono stati ricolonizzati da una boscaglia piuttosto fitta interrotta saltuariamente da radur

(omissis)

tale vegetazione e’ in fase di rapida riconquista dei pascoli abbandonati. Ostrya, cotinus, Fraxinus ornus e Prunusmahaleb ne costituiscono il nerbo essenziale che risulta di tipo submediterraneo; (omissis)

E’ presumibile che questa boscaglia evolva verso il bosco climatico (climatozonale) descritto come ostryoquercetum pubescentis.”

Miele di melata di bosco del Carso